Tags: Energia, Lazio, Fonti fossili, Territorio

FOTOVOLTAICO E PAESAGGIO RURALE

Struggente Tuscania

di: Maria Rita Fiasco*
Sorgerà a Pian di Vico, nella Tuscia, il decimo impianto fotovoltaico più grande al mondo per estensione. In un sol colpo verranno irreversibilmente trasformati 250 ettari di paesaggio di grande pregio. L’autrice, presidente di Assotuscania, descrive in brevi tratti lo sconcerto per la scarsa consapevolezza con cui ci si appresta a sconvolgere un territorio antico e fragile.


Tuscania, in provincia di Viterbo, è considerata una vera perla dell’arte romanica e della civiltà etrusca. Nota per la straordinaria bellezza delle basiliche di San Pietro e Santa Maria. Una città modello per la ricostruzione post terremoto (6 febbraio 1971), realizzata con particolare cura, attenzione filologica e in tempi ridotti, ad opera del Genio civile con il progetto guidato da Otello Testaguzza. Ma Tuscania è nota anche per la particolare bellezza del suo paesaggio agrario, in gran parte ancora intatto, per le antiche vie, per le forre e le acque, e per le tagliate etrusche.

Uno scorcio del paesaggio di Tuscania, nelle foto di Luca Bellincioni e di Adrian Moss

Eppure, malgrado tutta questa bellezza, Tuscania presto sarà conosciuta per un altro primato: quello del consumo di suolo, il comune dove in un sol colpo si sarà persa la più grande estensione di suolo agricolo, fertile, bellissimo. In un sol colpo spariranno 250 ettari di paesaggio (oltre 350 campi di calcio) in una zona di grande pregio, attraversata da cammini antichi come la Via Clodia che fa altresì parte della Rete dei Cammini della Regione Lazio.

Questo è ciò che prevede il progetto presentato dalla DCS Srl e attualmente in fase conclusiva di procedura di VIA per la costruzione di un megaimpianto di fotovoltaico a terra, in località Pian di Vico, nel territorio di Tuscania a nord-ovest tra Montalto di Castro e Piansano. Se il progetto verrà realizzato, una superficie estesissima verrà perduta per tutte le prossime generazioni: gli impianti infatti sono teoricamente reversibili, ma nella pratica per il prossimo quarto di secolo il terreno verrà isterilito e sulla sua rigenerazione non sono noti studi precisi; senza poi considerare lo smaltimento di una massa di materiale così consistente.

Se vogliamo vedere qualche dato di paragone circa il consumo di suolo, basta guardare i dati del dossier presentato il 17 luglio 2018 a Montecitorio da ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Vi leggiamo che la provincia di Viterbo è quella dove, in percentuale, il consumo di suolo netto è cresciuto di più nel 2017 rispetto al valore dell’anno precedente. In soli dodici mesi sono “spariti” dalle mappe 154 ettari di terreno (+ 0,91%). Per un totale di 17.063 ettari (il 4,72 per cento) complessivamente persi.  Roma, per avere un metro di misura, ha avuto un incremento di soli 36 ettari da un anno a un altro come superfici consumate.

Mentre il Comune di Tuscania è a favore della costruzione dell’impianto, dello stesso avviso non sono associazioni ambientaliste, attivisti locali e la Coldiretti che in un comunicato del 13 dicembre u.s. ha in modo deciso e preciso stigmatizzato il progetto e la “tendenza ad utilizzare terreno agricolo fertile per insediamenti industriali da parte di soggetti non-imprenditori agricoli, senza alcuna limitazione o salvaguardia da parte delle istituzioni pubbliche.” (http://www.tusciaweb.eu/2018/12/no-al-fotovoltaico-nelle-aree-agricole-produttive/)

Anche il Ministero dei Beni Culturali ha sollevato precise osservazioni esprimendo il suo parere negativo, perché nell’attuale formulazione il progetto non è compatibile, in quanto insiste su paesaggio agrario di valore e per le evidenze archeologiche, poiché insiste sul tracciato dell’antica Via Clodia. Sulla stessa linea, le osservazioni presentate da AssoTuscania (associazione per lo sviluppo socio-economico e culturale della città di Tuscania) alla procedura di VIA.

Oltre a queste considerazioni e ai dati di per sé eloquenti, sorgono anche altri interrogativi che coinvolgono normative esistenti e i controlli preventivi sui soggetti proponenti, cosa che ci si potrebbe aspettare visto che, se il denaro è privato, le conseguenze sono sulla collettività e i procedimenti sono un costo della pubblica amministrazione. L’investimento, si legge nelle documentazioni pubblicate sul portale della Regione Lazio https://regionelazio.app.box.com/v/015-2018/folder/48620738748, supera i 90 milioni di euro, inclusi i costi per l’acquisto dei terreni o dei diritti d’uso degli stessi (che ammontano a circa 9 milioni di euro). Il tutto viene proposto da una società costituita poco più di un anno fa, alla vigilia della presentazione del progetto, che dall’ultima visura camerale esistente risulta non essere operativa e priva di patrimonio se non quello costituito dal capitale sociale di 10.000 euro. Nella documentazione non è rintracciata alcuna relazione circa la capacità tecnica ed economica del proponente che ha avviato il procedimento.

Insomma, basta creare una nuova società e avere alle spalle fondi esteri non meglio chiariti o dichiarati, per poter mettere una ipoteca così pesante sul futuro dei nostri territori? Perché costruire questi impianti su terreno agricolo fertile e non invece individuare aree idonee, non coltivabili o addirittura infruibili per uso agricolo, impianti di minore impatto e che servano usi agricoli o di filiera, zone industriali dismesse, terreni deteriorati da usi precedenti?

 

Probabilmente il costo sarebbe diverso e i ritorni per gli investitori non così veloci, ma considerando che l’energia verde la paghiamo anche tutti noi in bolletta, si può e si deve pretendere un pensiero, una visione, una progettualità ed una azione diversa. In primis, da parte di chi ha il ruolo di disegnare insieme ai cittadini un futuro che riguarda tutti e di chi ha il compito di controllare e vigilare. Pure, perché vorremmo sapere dalle tasche di chi e nelle tasche di chi finisce tutto il danaro che questi investimenti comportano. 

L’area di San Giuliano – Pian di Vico destinata all’impianto della DCS e il corrispettivo pagato per l’acquisto dei diritti di superficie. Prezzo pari a 27.000 euro a ha.

Area in cui è consentita la costruzione di impianti di energie alternative (esclusi geotermici e biomasse). Misura circa 65 Kmq (pari a 6.500 ha).

 

*Presidente AssoTuscania, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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