Tags: Efficienza energetica, Certificati bianchi

PNIEC E CERTIFICATI BIANCHI

Rilanciare i TEE, l’Efficienza Made in Italy

di: Stefano Venier*
Dieci anni di storia di un modello innovativo dei permessi negoziabili: i certificati bianchi rappresentano uno strumento economico ed efficace per gli obiettivi 2030 di efficienza energetica nel Piano Energia e Clima dell’Italia.


La consultazione aperta dalla presentazione, a inizio del 2019, del Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC), ci offre una preziosa occasione per riflettere sulle policy di efficienza energetica che l’Italia ha adottato negli ultimi dieci anni. Riteniamo che questa analisi dovrebbe essere un punto di partenza nel momento in cui ci si appresta a definire la strategia per la decarbonizzazione dell’economia che impegnerà il nostro Paese per il prossimo decennio.  Prima di tutto ci sembra doveroso sottolineare che il Piano è senza dubbio uno dei migliori tra quelli presentati in Europa; tuttavia, vi sono scelte che destano una certa perplessità e che potrebbero essere corrette per giungere a un ulteriore miglioramento nell’interesse della collettività. In relazione al tema dell’Efficienza Energetica, anche per il prossimo decennio il nostro Paese è intenzionato a proporre nuovamente alla Commissione Europea l’approccio specificatamente italiano già consolidato in passato e che, negli ultimi dieci anni, si è dimostrato tra i più originali ed efficaci in Europa.  Il rapporto Cesef[1] 2018, infatti, ha messo bene in evidenza come la strategia nazionale si distingua rispetto a quella degli altri Paesi per alcuni elementi, tra i quali spicca il numero esiguo (di fatto solo tre) delle misure che permettono una chiara identificazione degli ambiti di intervento e la possibilità di una migliore verifica a consuntivo dell’efficacia, almeno rispetto a sistemi che prevedono 20 diverse modalità, come quelli proposti da Germania, Olanda e Regno Unito. Per quanto riguarda il settore industriale, da oltre un decennio il nostro Paese ha infatti incentrato la propria politica di incentivazione dell’efficienza energetica su un innovativo sistema di permessi negoziabili (denominati Certificati Bianchi o TEE, Titoli di Efficienza Energetica) che, in seguito al decreto n. 102 del 2014, avrebbero da soli dovuto coprire il 60% dell’obiettivo nazionale.

Con la messa a regime nel 2004, il meccanismo incentivante dei Certificati Bianchi ha introdotto un approccio differente rispetto ai già collaudati sistemi cap and trade utilizzati a livello europeo nell’Emission Trading, per la negoziazione dei permessi di emissione (ETS).  Il sistema dei Certificati Bianchi, infatti, ha sperimentato per la prima volta in Italia il metodo baseline and credit, già applicato nei Clean Development Mechanism (CDM) in ambito internazionale. A seguito della firma del Protocollo di Kyoto, i CDM hanno assunto l’obiettivo di valorizzare gli interventi di riduzione delle emissioni di CO2 portati avanti nei Paesi in via di sviluppo, a fronte degli obblighi normativi in capo agli investitori negli stati industrializzati. Il sistema italiano dei Certificati Bianchi ruota similmente attorno a un meccanismo centrato su obblighi in capo ai distributori di energia, ai quali sono assegnati obiettivi annuali di efficienza energetica in proporzione alla quantità di risorsa distribuita.

Fin dalla sua origine tale meccanismo si è distinto tra le realtà europee per innovazione ed efficacia ed è riuscito - sotto la governance dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas - a funzionare con efficienza dal 2004 al 2014, generando a oggi un risparmio di energia primaria di 23,7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, con un prezzo sostanzialmente stabile intorno ai 100 Euro/TEE, frutto della situazione di equilibrio tra domanda e offerta. Il livello e la stabilità raggiunte hanno consentito al meccanismo di distinguersi come migliore dal punto di vista costo/efficacia rispetto a tutti quelli sperimentati nel nostro Paese (si veda figura 1).

Tra i vari benefici apportati risulta particolarmente evidente quello economico: il costo in bolletta è infatti stato, nel 2016, di 1,4 miliardi di Euro, contro i 16 miliardi dedicati all’incentivazione delle fonti rinnovabili. È tuttavia giusto evidenziare come, negli ultimi tre anni, l’impianto originario abbia subito una parziale alterazione dell’equilibrio tra domanda e offerta, con conseguenti distorsioni sul fronte dei prezzi. Tale disallineamento ha richiesto interventi straordinari da parte del normatore, dal quale si attende inoltre l’avvio di alcune iniziative – da più parti suggerite e raccolte nel rapporto Cesef 2018 - necessarie a un opportuno rilancio, nel solco di un modello che, comunque, costituisce ancora un’eccellenza a livello europeo.

Tornando alle proposte contenute nel PNIEC, risulta meritevole, come detto, la volontà di confermare l’impostazione e gli strumenti che hanno reso l’Italia protagonista in Europa, tuttavia sorprende il brusco spostamento nella resource allocation verso strumenti che presentano un rapporto costi-benefici molto più sfavorevole e che sono caratterizzati da un approccio “tradizionale” e presuntivo. Infatti, il PNIEC ipotizza di potenziare misure che si sono rivelate sino a oggi poco efficaci (conto termico), oppure che hanno determinato costi alti a carico del Paese (defiscalizzazioni), a scapito dei Certificati Bianchi, che hanno invece evidenziato un miglior ritorno e una marcata efficacia nel settore industriale. La proposta del Piano Nazionale per il prossimo decennio definisca l’impegno a produrre, attraverso il meccanismo dei Certificati Bianchi, risparmi per 15,02 Mtep, cioè circa il 25% in meno rispetto a quanto prodotto dal sistema nel decennio trascorso, sebbene il potenziale, a giudizio di molti osservatori, sia ancora estremamente significativo. Il sistema dei Certificati Bianchi, dunque, ne uscirebbe fortemente depotenziato, nonostante sia citato in molti punti del documento come strumento di policy da rilanciare con le nuove disposizioni normative. Insomma, una palese contraddizione e un’opportunità apparentemente trascurata. 

Questa contraddizione appare ancora più evidente quando si confrontano le risorse destinate alle diverse misure. A fronte dei 6,8 miliardi di Euro dedicati ai Certificati Bianchi ritroviamo 45,4 miliardi di Euro per le detrazioni fiscali, con un’attesa di benefici di poco superiori ai 18 Mtep: 2,52 miliardi di Euro per milione di Tep a fronte degli 0,4 dei Certificati Bianchi (!), nel caso delle detrazioni fiscali interamente a carico dello Stato.

Con questo confronto non si intende demonizzare il sistema della defiscalizzazione, che ha il vantaggio non trascurabile di sostenere il comparto artigianale, vero cuore pulsante del sistema produttivo italiano, orientato peraltro a intaccare la grande inefficienza che ancora caratterizza il settore immobiliare privato, quanto piuttosto, alla luce delle diverse valutazioni esposte, si intende sottolineare come sarebbe opportuna una rimodulazione della policy complessiva, ridistribuendo le risorse disponibili in base al rapporto costi/benefici dei diversi strumenti e alla certezza nella consuntivazione dei risparmi ottenuti. Questa scelta, accompagnata dalle poche correzioni necessarie a rilanciare il funzionamento del modello economico di permessi negoziabili - liquidità nell’offerta e certezza nei riconoscimenti – offrirebbe al Paese e al settore industriale rinnovate condizioni per vedere riconfermata la leadership dell’ultimo decennio e il netto miglioramento della competitività delle produzioni nazionali, in una prospettiva di maggiore sostenibilità ambientale.

Figura 1: Rapporto (euro/tep) principali meccanismi incentivanti in Italia – Elaborazione Agici/Cesef 2018

 
 
*AD Gruppo Hera
 
NOTE

[1] Centro Studi per l’Efficienza Energetica e il Management

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