Tags: Energia, Efficienza energetica

GLI ENERGY MANAGERS NELLA P.A.

Uno, Nessuno, Centomila

di: Nino Di Franco*
Nonostante l’obbligo di legge, sono ancora poche in Italia le Pubbliche Amministrazioni dotate di un energy manager (o tecnico responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia) che dovrebbe costituire il perno attorno cui dovrebbe realizzarsi lo sforzo di risparmio richiesto al settore pubblico


Una politica di incremento dell’efficienza è alla base delle strategie energetiche dei paesi industrializzati e soprattutto di quelli che, come l’Italia, scarseggiano di fonti primarie. Per attuare simili impegni gli Stati adottano tipicamente politiche di tipo sticks and carrots, ossia un mix di provvedimenti sia impositivi che incentivanti. Tuttavia questo approccio dicotomico spesso non si rivela sufficiente per una piena attuazione dei desiderata governativi, ed altri strumenti vanno identificati ed implementati.

Tra tali modalità alternative, la UE sta recentemente puntando sul ruolo esemplare del settore pubblico. Laddove la direttiva 06/32 lo auspicava, la successiva direttiva 12/27 ha fornito la sostanza per un tale ruolo prevedendo condizioni vincolanti, per esempio imponendo la riqualificazione del 3% annuo della superficie utile degli edifici a servizio del governo centrale, o imponendo l’acquisto solo di prodotti, servizi o edifici ad alta efficienza. A sua volta l’Agenzia del Demanio, in base a quanto previsto dalla Legge di Stabilità 2014[1] dove si prevedeva l’obbligo di comunicazione dei costi gestionali degli immobili utilizzati dalla pubblica amministrazione, ha istituito l’applicativo informatico IPER (Indice di Performance) al fine di poter controllare e ridurre tali costi. Ulteriori iniziative sono state intraprese a livello locale (es. i PAES, Piani di Azione per l’Energia Sostenibile, per i comuni).

Ne consegue che le Pubbliche Amministrazioni, nell’ottica di migliorare le proprie performances energetiche, sono attualmente chiamate a prendere iniziative e fornire dati, informazioni, progetti di riqualificazione, piani d’azione, ecc. in una cornice non sempre univoca, con tempistiche e gradi di approfondimento diversi. L’eventuale mancanza di competenze tecniche ed economico-finanziarie viene, laddove necessario, affrontata conferendo incarichi a società di consulenza esterne.

Ora, la STREPIN (Strategia per la riqualificazione energetica del parco immobiliare), documento governativo espressamente richiesto dalla direttiva 12/27, riporta che il potenziale di risparmio annuo al 2020 per gli edifici delle PPAA (uffici e scuole) è stimato pari a 0,83 Mtep. Per aggredire un simile sfidante obiettivo, dovrà necessariamente essere impiegata una significativa mole di risorse umane e finanziarie, tra di loro coerenti e coordinate.

Tra le risorse umane baricentriche in questo filone di attività va senz’altro considerato l’energy manager, la cui nomina è obbligatoria, ai sensi dell’art. 19 della legge 10/91, quando una struttura della PA consumi più di 1000 tep/anno. L’energy manager (o tecnico responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia) dovrebbe costituire il perno attorno cui dovrebbe realizzarsi lo sforzo di risparmio richiesto alla PA, avendo egli le competenze e la preparazione per governare il complesso di attività realizzabili, dagli ambiti tecnici (studi di fattibilità, richieste di finanziamento, diagnosi energetiche, implementazione di sistemi di gestione, ecc.) a quelli comunicativo/motivazionali.

Riguardo tale figura professionale, è d’altronde da rilevare, dal Rapporto 2016 sugli energy manager in Italia della FIRE, che:

– di 1.346 tra città metropolitane, capoluoghi di provincia, comuni con più di 10.000 abitanti[2], province e regioni, 120 hanno nominato l’energy manager (9%);

– di 249 tra ASL ed aziende ospedaliere, le nomine pervenute sono state 124 (50%);

– delle 2.738 AOO (aree organizzative omogenee, aventi ognuna una specifica partita IVA) facenti capo ai 13 ministeri, 4 hanno nominato l’energy manager.

Si può concludere che nella PA non sempre è presente l’energy manager, ossia la figura tecnica di riferimento per le questioni energetiche. Individuarlo, nominarlo, attribuirgli risorse per poter operare - e soprattutto coinvolgerlo pienamente nel processo decisionale - potrebbe costituire un decisivo passo nella giusta direzione, al fine di raggiungere gli obiettivi di risparmio previsti.

Si auspica dunque nell’immediato futuro un incremento numerico delle nomine puntuali, con relativa qualificazione professionale eventualmente comprovata dalla certificazione EGE (Esperto in Gestione dell’Energia, conformemente alla norma UNI CEI 11339). Inoltre, considerata una certa omogeneità per classi di utenza finale (la PA insiste principalmente su edifici di cui vanno diminuite le dispersioni termiche in inverno e le rientranze di calore in estate, ed ottimizzata l’impiantistica tecnica) potrebbe istituirsi un board di primo livello a coordinare l’attività di tutti gli energy managers, in modo da creare una comune competenza di base, per diffondere - eventualmente condividendo - le procedure gestionali, gli interventi tecnici migliorativi, le attività di comunicazione, l’accesso agli incentivi, ecc. In tal maniera la problematica dell’efficienza verrebbe approcciata in modo organico e sincronizzato, ed il ruolo esemplare della pubblica amministrazione ne risulterebbe visibilmente e tangibilmente valorizzato.

 

*Unità Tecnica Efficienza Energetica – ENEA. Le opinioni espresse nel presente intervento riflettono il pensiero dell'Autore e non impegnano in alcun modo l'istituzione cui appartiene.



[1] Art. 1 comma 387 della legge n. 147 del 27 dicembre 2013.

[2] Comuni con più di 10.000 abitanti mediamente hanno consumi superiori a 1000 tep/anno, e quindi ricadono nell’obbligo di nomina dell’energy manager.

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