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GENERATORI EOLICI
Senza pale
- di: Alberto Cuppini
- Non è una nuova conquista della tecnica, ma solo un ennesimo grottesco risultato di una legislazione ingiustificata.
Felici i tempi in cui i parmensi tornavano dai loro viaggi nel Meridione e riferivano a familiari ed amici, tra il divertito e lo scandalizzato, di strade che iniziavano e finivano nel niente, di pali della luce o tralicci conficcati nel bel mezzo delle strade oppure di grandi viadotti che non superavano nessun ostacolo.
Adesso, nel parmense, non possono più permettersi di ergersi a censori della noncuranza amministrativa ai danni della collettività propria delle più desolate plaghe del Sud: un bell’esempio di malgoverno borbonico se lo ritrovano in casa. E che esempio! La storia delle pale eoliche senza pale non l’avevamo proprio mai sentita.
Stiamo trattando di due impianti della ditta Oppimitti che si vedono, sia pure parzialmente, nella prima foto: in primo piano quello in località Bora della Fantina, sul monte Zuccone nel Comune di Tornolo (5 aerogeneratori) ed in secondo piano quello del monte La Rocca (4 aerogeneratori) nel Comune di Albareto. Sullo sfondo della foto si vedono anche le 4 pale del passo della Cappelletta (Comune di Varese Ligure), alte “appena” 70 metri, montate ormai da una decina di anni.
La ditta Oppimitti aveva comprato in Polonia le pale di Bora Fantina già diversi anni fa e le aveva abbandonate al suolo per oltre tre anni; poi, all’improvviso, pur non essendo nemmeno stata ammessa agli incentivi dello scorso anno, ha iniziato ugualmente i lavori, che sono però stati sospesi dalla scorsa estate, con le pale montate a metà.
Tentiamo di fornire una spiegazione, non ufficiale, di questo bizzarro modo di agire.
Il proponente, per non perdere la D.I.A. (Denuncia Inizio Attività), ha dovuto dimostrare un avanzamento del cantiere: stavano per trascorrere tre anni ed in caso di inerzia avrebbe dovuto ricominciare tutta la procedura autorizzativa da capo. Così ha eretto solo le basi di nove torri: le cinque della Bora della Fantina e le quattro al monte La Rocca.
Pare infatti che la sottostazione per l’aggancio all’alta tensione fosse prevista in comune con un altro impianto di nove enormi pale alte 150 metri da 3,3 MW l’una, della ditta FRIEL, da costruire sul monte Scassella, lungo lo stesso crinale di quello di monte La Rocca, ed anch’esso fermo nella speranza di ottenere gli imprescindibili incentivi pubblici. E così tutto è sospeso, in attesa delle aste di quest’anno. Nel frattempo, però, il paesaggio, come si può notare anche dalla seconda foto, è già stato deturpato. Per niente.
Un’altra dimostrazione che, senza i massicci sussidi pubblici (che dovranno essere perpetui) all’energia eolica prodotta, gli impianti sull’alto Appennino non hanno alcuna possibilità di essere profittevoli. Corollario di questo oggettivo stato di cose è che, quando gli incentivi all’eolico in Italia verranno meno, non appena gli aerogeneratori installati in Emilia-Romagna dovranno sostituire parti importanti perchè soggette a danni e a rapida usura, essi verranno abbandonati. E qui, sia pure in una ridotta zona di crinale, stiamo parlando già di quattro impianti, tutti in fila, il cui insopportabile effetto cumulativo si può percepire già fin d’ora, anche solo in presenza di alcune mezze torri.
Cogliamo l’occasione per invitare il proponente, che pure dispone di accessi ai media preclusi ai poveri comitati della zona, ad utilizzare questo nostro modesto spazio per fornire gentilmente alla collettività (sconcertata) chiarimenti e un’interpretazione autentica dei fatti.
Cogliamo altresì l’occasione per invitare le Amministrazioni locali (ed in particolare il Comune di Albareto, che sta collezionando tutta una serie di disavventure eoliche ai danni dei propri cittadini, a cominciare da quella della chiusura della strada che conduce all’impianto di Zeri) a pretendere questa stessa interpretazione autentica e le opportune giustificazioni dal proponente, che le sta facendo diventare lo zimbello di tutt’Italia.
Possiamo tuttavia fin da ora rilevare, quanto meno, che i processi di valutazione di impatto ambientale per questi due impianti della ditta Oppimitti non sono stati condotti con sufficiente severità e che l’Autorizzazione Unica, a seguito della quale un impianto eolico diventa un’ “opera di pubblica utilità indifferibile ed urgente”, è stata concessa con troppa superficialità, avendo i fatti dimostrato che non sussisteva nessunissima urgenza.
Questa vicenda rivela una volta di più che in Italia, in materia di impianti eolico-industriali, l’unica “urgenza” appare quella di accaparrarsi gli incentivi pubblici prima che cessino di essere erogati. Cosa che accadrà tanto più rapidamente quanto più la bolla speculativa, finanziata dagli addebiti celati nella bolletta elettrica di tutte le spese, si gonfierà. Per arrivare all’ineluttabile esplosione finale, che metterà fine a tutta questa follia, nella vergogna generale dei suoi (tanti e interessati) fautori.