Tags: Europa, Clima, Cina

E’ ORA DI SUPERARE L’ETS

La Cina d’Acciaio, l’Europa di Burro

di: Tommaso Franci
In un solo quadriennio, tra il 2009 e il 2013, l’industria siderurgica europea ha perso oltre 40.000 posti di lavoro. Nonostante i documenti elaborati e le risoluzioni prese per sostenerla, sembra prevalere la rassegnazione all’idea che i cinesi siano ormai i soli destinati a produrre l’acciaio. Pur se l’associazione dell’industria europea continua a presentare denunce di antidumping contro le importazioni dalla Cina, la risposta dell’Europa alle pratiche commerciali quanto meno dubbie del colosso asiatico è decisamente timida. Occorrerebbe invece tener presente che la produzione dell’acciaio continua ad essere un termometro dell’economia e non rinunciare senza combattere a quel settore industriale che, con la CECA, ha costituito la prima pietra dell’integrazione europea. La strada, per difendere l’industria europea è quella di fissare per la produzione dell’acciaio standard che chiunque voglia operare sul mercato europeo sia tenuto a rispettare, a cominciare da una carbon intensity tax applicabile a tutte le produzioni manifatturiere UE o non-UE.


A Bruxelles abbiamo assistito alla prima manifestazione unitaria degli energivori europei contro la concorrenza sleale internazionale e contro la concessione dello status di “Economia di Mercato” alla Cina. Erano presenti migliaia di lavoratori del settore alluminio, fonderie, acciaio, ceramica, vetro, che rischiano di perdere i loro posti di lavoro. La situazione dell’industria energivora europea, in particolare di quella dell’acciaio, è molto seria.Il settore si trova da anni ad affrontare una forte concorrenza dalla Cina e dalla Russia. Questi, come altri paesi non-UE, ricorrono sia a pratiche commerciali anticoncorrenziali per esportazione della produzione eccedentaria con prezzi predatori,sia a restrizioni commerciali sulle importazioni.

Inoltre,solo il 4 gennaio 2016 l’associazione europea dell’acciaio ha presentato tre denunce di antidumping, tutte contro le importazioni dalla Repubblica Popolare Cinese. La Commissione europea a febbraio ha avviato le relative procedure (2016/C 58/08,2016/C 58/09 e 2016/C 58/08)[1].

Nello stesso giorno anche l’associazione della carta termica ha presentato denuncia antidumping sulle importazioni di determinati tipi di carta termica leggera originari della Corea del Sud(2016/C 62/07).

Nell’ultimo anno su 39 denunce presentate dall’industria europea per l’antidumping, ben 15 riguardano il settore dell’acciaio.

Un mese dopo, il 5 febbraio 2016, sette ministri dell’industria (di Italia, Germania, Lussemburgo, Francia, Regno Unito, Polonia e Belgio) scrivono una lettera alla Commissione Europea chiedendo con urgenza l’adozione di misure, compatibili con l’Organizzazione Mondiale del Commercio, per garantire all’industria Europea parità di condizioni a livello globale. Il fatto che le istituzioni degli Stati Membri si siano attivate è molto preoccupante e significa che il settore è già in ginocchio.

Tuttavia, la crisi che sta soffocando l’acciaio non è un fatto nuovo. È sufficiente leggere la documentazione a sostegno (Background. Brussels, 5 November 2015) del Consiglio straordinario “Competitività” sull’industria siderurgica europea tenutasi il 9 novembre del 2015. Quindi, non si tratta di un problema transitorio, ma di una prolungata asimmetria che sta indebolendo la siderurgia europea, costretta a ridurre la produzione o a chiudere gli impianti,dando luogo a licenziamenti collettivi. Sono stati persi solo nel quadriennio 2009 -2013 più di 40 000 posti di lavoro[2].

Nel 2013 e stato adottato dalla Commissione Europea un Piano d’Azione, documento strategico per affrontare la competitività del settore dell’acciaio, ed è stato istituito un Gruppo di esperti di alto livello, High Level Expert Group,sull’acciaio europeo.

Nel 2014, nel Consiglio Europeo del 23 - 24 ottobre, il Consiglio e la Commissione europea concordano sulla continuazione della politica dell’assegnazione gratuita di una parte dei permessi di CO2 anche per la fase 2020 - 2030 al fine di evitare la delocalizzazione degli impianti fuori dall’UE e che per “mantenere la competitività internazionale, gli impianti più efficienti in questi settori (ETS) non dovrebbero sostenere costi del carbonio indebiti che porterebbero alla rilocalizzazione delle emissioni di CO2”. Un approccio evidentemente conservativo e probabilmente inefficace,poiché solo un anno dopo, come detto,il 9 novembre del 2015,in via d’urgenza, arriva il Consiglio straordinario “Competitività” sull'industria siderurgica europea che torna sulla questione stabilendo dieci azioni concrete da intraprendere.

In tutti questi documenti si riconoscono i problemi del settore esi elenca anche una serie di misure. Le istituzioni europee e gli Stati membri non solo continuano a paventare il rischio di carbon leakage, ma cercano anche di tutelare le imprese dalla perdita di competitività. Bisogna dire che quest’ultima deriva certamente da una concomitanza di cause,come il dumping ambientale, sociale e i costi energetici.

Tuttavia, va specificato che l’Europa ha e continua ad avere un comportamento timido visto che,da un lato riconosce l’applicazione da parte dei paesi terzi di pratiche commerciali opache contro l’industria europea (alcuni Paesi extra UEproteggono le loro industrie sia con aiuti di Stato sia con limiti all’importazione estera) e dall’altro lato permette che altri usufruiscano dei benefici del mercato continentale. Chiaramente l’Europa non deve replicare con lo stesso atteggiamento. L’industria europea dell’acciaio, ancora la seconda al mondo dopo la Cina, con una produzionenel 2015, seppur in calo rispetto al 2014, di 166 milioni di tonnellate di acciaio grezzo[3], merita di più.

Il settore, già coperto della direttiva ETS è in continuo efficientamento tecnologico e rappresenta ben più che uno dei tanti settori industriali, ma un industria strategica, essenziale, al punto che si potrebbe dire che dentro il termometro dell’economia europea non c’è mercurio, ma acciaio.

L’Europa non ha ingenti risorse di materie prime e dipende già da importazioni nei confronti di Paesi extra UE di dubbia affidabilità (Russia) o che richiedono attività geopolitiche molto impegnative (Paesi Arabi). La meccanica è il settore più grande di due tra i paesi europei più industrializzati, Germania e Italia, ha senso dunque perdere un intero settore come l’acciaio ed importare da paesi extra EU, magari dalla Cina?

Occorre avere il coraggio di superare il sistema ETS e introdurre una carbon intensity tax applicabile a tutte le produzioni manifatturiere UE o non-UE, che hanno accesso al mercato europeo. Solo l’applicazione delle stesse regole e degli standard legati all’intensità carbonica a tutti i competitor su un determinato mercato può ristabilire l’ordine di una concorrenza leale e portare una crescita economica sostenibile.

Gli Stati Membri, le Istituzioni europee e gli stessi operatori del settore stanno prendendo coscienza che questa è l’unica via percorribile, ma bisogna fare in fretta perché rischiamo di perdere la stessa idea costitutiva dell’Europa, la CECA – Comunità Europea del carbone e dell’Acciaio. Per gli europei, giustamente, il carbone inquina e quindi è un vettore energetico da sostituire e l’acciaio – sembra essere la sconsolata presa di coscienza della deindustrializzazione europea – lo producono ormai i cinesi.

Parafrasando l’allenatore Tony D’Amato, un grande Al Pacino, nel film “Ogni maledetta domenica”:si decide tutto oggi, proprio quando alla Cina verrà riconosciuto lo status di “Economia di Mercato”. O l’acciaio europeo risorge come settore coeso, compatto nella richiesta di una revisione dei parametri emissivi, o perderà la competizione internazionale, una tonnellata alla volta, un impianto dopo l’altro, fino alla deindustrializzazione. Il Governo italiano non ha nulla da dire?

 
 
NOTE

[1]Denunce di antidumping: relativo alle importazioni di determinati prodotti piatti laminati a caldo in ferro, acciai non legati o altri acciai legati originari della Repubblica popolare cinese (2016/C 58/08); relativo alle importazioni di alcuni tipi di lamiera pesante di acciai legati o non legati originari della Repubblica popolare cinese (2016/C 58/09); relativo alle importazioni di determinati tubi senza saldature, di ferro (non ghisa) o di acciaio (non acciaio inossidabile), a sezione circolare, con diametro esterno superiore a 406,4 mm, originari della Repubblica popolare cinese (2016/C 58/10).

[2](COM(2013) 407 final).

[3Dati world steel association del 25 gennaio 2016.

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