Tags: Sviluppo sostenibile

RIO +20

L'ultima conferenza del secolo XX

di: Roberto Smeraldi
Rio+20 è stata l'ultima grande conferenza del secolo XX, anziché la prima del XXI. “Crescere, includere e proteggere" sono state le parole d’ordine delle nuove sfide economiche, sociali ed ambientali. Se Rio+20 fosse stata davvero la conferenza di partenza del nuovo secolo, esse avrebbero dovuto essere “sviluppare, distribuire e usare”.


Come quelle partite in cui tutti hanno paura di perdere e nessuno vuole correre rischi per vincere, la conferenza Rio+20 appariva a qualsiasi osservatore che conosca il sistema Nazioni Unite come destinata ad un inevitabile 0-0. E così è puntualmente accaduto, senza sorprese. Se proprio vogliamo mantenere una porta aperta, possiamo dire che in teoria ci saranno dei tempi supplementari. Sì, perché se vogliamo sintetizzare in due righe le 49 pagine -con i suoi 283 bizantini paragrafi- della dichiarazione finale, possiamo dire che la Rio+20 ha rimandato al mittente, cioè all'Assemblea Generale,le decisioni che quella stessa le aveva chiesto di prendere. E considerando i temi all’ordine del giorno, il tempo di questi supplementari varia fra i tre anni (nel caso delle future mete di sviluppo sostenibile) fino a qualcosa di indefinito.

Negli ultimi due anni, ho seguito la preparazione della Rio+20 come un obbligo, personale e istituzionale. Personale per via del mio ruolo nel 1992, quando avevo presieduto, per conto degli Amici della Terra –Italia, il comitato internazionale della società civile per quella conferenza. Istituzionale perché in fondo la conferenza si svolgeva di nuovo nel paese in cui opera l'associazione che dirigo (Amici della Terra – Amazzonia Brasiliana) e che il governo brasiliano aveva incluso nella delegazione ufficiale. Ma ho risposto a questo obbligo senza nutrire molte illusioni sui suoi risultati, il che mi rende oggi molto meno deluso di tanti colleghi della società civile che gridano allo scandaloso fallimento.

No, quello che è fallito non è la Rio+20. Si tratta di riconoscere forse l’obsolescenza dell’attuale maniera di interpretare il multilateralismo del sistema ONU. Si tratta di capire che le relazioni società-governi non sono più quelle del 1992, quando praticamente non c’era quasi internet. Si tratta di aggiornare l’agenda per le sfide di questo secolo, e non di quello passato. Si tratta di riconoscere che una conferenza per discutere di tutto poteva aver senso nel 1992, quando non esisteva niente nel sistema ONU sul tema della sostenibilità, ma non più oggi, visto che i ministri si incontrano svariate volte all’anno, e con regolarità, da diversi anni. Ecco quindi che il fallimento della Rio+20 non è stato a Rio, dove si è consumato l’inevitabile scenario di un enorme festival, ma forse ha avuto origine nel suo concepimento.

Ci avevano detto e ripetuto che non era una conferenza di “arrivo”, ma di “partenza”. Giusto. Questo avrebbe dovuto garantire il suo ruolo strategico. Giusti, anzi giustissimi a mio parere, anche i due temi identificati come priorità dell’agenda: economia verde e assetto istituzionale dello sviluppo sostenibile nel sistema ONU.

Ma scegliere di discutere di economia verde senza i ministri dell’economia è come voler arrivare ad un accordo salariale senza i sindacati. Insomma, il cammino dell’irrilevanza era segnato inesorabilmente, mostrando che l’ambizione di discutere di economia nel quadro della sostenibilità era ridotta ad un’ipocrisia. E sul tema istituzionale - spesso tradotto con il termine governabilità - la discussione si riduceva ad una mera componente della stessa, quella dello status dell’organo ambientale. Ciò ignorava apertamente la realtà, per la quale la governabilità delle Nazioni Unite passa per l’unico organo che ha poteri di fatto nel suo ambito: il Consiglio di Sicurezza.

Ecco perché la possibilità di essere una conferenza di partenza dipendeva dal discutere effettivamente di queste due cose: come preparare la comunità internazionale per un’economia che faccia incorporare, da parte di governi e imprese, le cosiddette esternalità sociali ed ambientali, ossia gli attivi e passivi, nella propria contabilità. E al contempo, inserire i temi della minaccia climatica, delle migrazioni, della sicurezza alimentare e idrica nell’agenda di un nuovo Consiglio di Sicurezza allargato nel mandato e nella composizione per essere funzionale alle sfide contemporanee e strategiche. Sarebbe stata una bella opportunità per il Brasile che, invece di farsi notare per organizzare una gran festa di debuttante nella comunità internazionale - senza badare a spese, come conviene a nuovi ricchi o presunti tali -, avrebbe potuto esercitare un ruolo di leadership per creare le condizioni e la legittimità di nuovi equilibri a favore del Sud, nel sistema ONU.

L’Europa, forse l’unica che ha fatto il gesto (senza convinzione) di tentare di inserire un po’ di contenuto in agenda, si è presentata senza i suoi principali leader e senza strumenti minimi di convinzione. Difficile immaginare che potesse influenzare il negoziato. E dire che l’economia verde offriva un’occasione forse unica di sedersi ad un tavolo senza dover pagare anticipatamente il conto di tutti, se solo l’Europa si fosse preoccupata di affermare perlomeno il concetto. Su tale base, si poteva iniziare a discutere di un mondo nel quale la priorità non siano più gli obsoleti concetti di "trasferimento" di risorse e tecnologie a farla da padrone, perché in tal caso sarebbero i prezzi a stimolare efficienza e innovazione, invece di improbabili compensazioni. Basti dire che i 30 miliardi di dollari che avrebbero costituito il fondo di trasferimento - e in tal caso molti avrebbero paradossalmente considerato la Rio+20 un successo - corrispondono a 4 giorni del movimento della borsa brasiliana. Qualcuno pensa che il fondo avrebbe cambiato qualcosa nella maniera in cui questo ed altri paesi emergenti affrontano il loro sviluppo? Invece, la considerazione di capitale naturale e sociale nella contabilità, e pertanto nei prezzi, avrebbe distribuito il conto del cambiamento a partire dal consumo, superando l’impasse ideologica su chi debba fare il primo passo.

La presidente del Brasile, nel suo discorso alla conferenza, ha ratificato di fatto che la Rio+20 sia stata l’ultima grande conferenza del secolo XX, invece della prima del secolo XXI. La terminologia scelta per definire le sfide in campo economico, sociale ed ambientale é stata quella di “crescere, includere e proteggere”. Se la Rio+20 fosse stata davvero una conferenza di partenza, come minimo avrebbe dovuto dire sviluppare, distribuire e usare.

* Roberto Smeraldi è direttore dell'organizzazione brasiliana di interesse pubblico "Amigos da Terra - Amazônia Brasileira"

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